Si rema tutti nella stessa direzione

‘Vede giovane, questi sono i giorni in cui tutti remano dalla stessa parte, giovani e vecchi, ma i giovani di più, perché sanno che questa festa, loro la dovranno portare avanti per molti e molti anni. E se non fosse così, se non ci si aiutasse l’uno con l’altro, non sarebbe possibile fare tutto questo.’Con queste parole, dopo aver assistito al taglio dell’albero, il signor Loreto cerca di spiegarmi cos’è la Festa Bella per gli Spelongani. E a pensarci bene la Festa Bella è tutta qui, senso di appartenenza, partecipazione di una intera comunità, e voglia di stare insieme. La fatica che questi uomini fanno per trasportare un abete bianco di 30 metri su e giù per i Monti della Laga è solo il collante per tutti questi ingredienti.

Questo piccolo miracolo si ripete ad opera degli abitanti di Spelonga, una piccola frazione di Arquata del Tronto, una volta ogni tre anni. Salgono al bosco del Farneto, sul Monte Comunitore (1693 mt), scelgono con dovizia un abete bianco di circa 30 metri. Ad inizio Agosto lo abbattono. La settimana successiva, ritornano su per trasportarlo a mano dalla montagna fino in paese. E’ questo il momento più intenso della festa. Per 3 giorni si mangia e si dorme insieme in mezzo ai monti, fra stornelli, vino e tanta tanta fatica. Tutta la piccola comunità di Spelonga vi prende parte. 150 ‘valorosi’, in memoria degli spelongani che presero parte alla battaglia di Lepanto, trascinano il tronco alle ‘stanghette’al grido di ‘Oooh Forza!’ Molti altri li aiutano tirando il pesante fardello alle funi. Altri ancora si occupano della logistica e della cucina. Trasportare tende e materiale da campo, e rifornire di liquidi e di pasti caldi (e abbondanti) i ‘Valorosi’ su e giù per la montagna, comporta un enorme lavoro di coordinamento e organizzazione. Dopo tre giorni, di immane fatica, l’albero fa il suo ingresso in paese che nel tripudio collettivo riabbraccia i suoi ‘valorosi’. La settimana successiva, l’albero viene innalzato al centro della piazza, attraverso un sistema di scale e funi. Attorno ad esso viene costruita una nave che rimane al centro della piazza per altri 2 mesi circa.

La tradizione che si tramanda da secoli, intende rievocare, nella sua forma attuale, la battaglia di Lepanto (1571), cui presero parte, con un importante contributo, un centinaio di spelongani. Si narra infatti che un abitante di  Spelonga, Carlo Toscano, strappò un vessillo da una nave turca e la riportò fino in patria come cimelio di quell’evento storico. Il drappo è tuttora conservato a Spelonga (fino a poco tempo fa nella chiesa parrocchiale ora danneggiata dal terremoto). La fatica del trasporto viene inoltre fatta come atto di devozione alla Madonna della Salute, cui gli Spelongani sono da sempre molto devoti. In suo onore viene infatti effettuata una solenne processione religiosa a conclusione del mese di festa. Il rito secolare si inserisce natutralmente nel filone dei riti arborei di cui si hanno vive testimonianza in altre regioni italiane. Si trattava di riti propiziatori a Cerere, dea delle messi. Gli abitanti di Spelonga mi hanno confermato che nei dintorni erano abbondanti le coltivazioni di grano. Il rito è quindi presumibilmente antecedente la battaglia stessa, ma è giunto a noi sotto questa forma.

Quale che sia la sua origine, ciò che lo eleva è il clima di unità e partecipazione che si respira nei giorni della festa. Il paese conta ormai alcune centinaia di residenti stanziali. Nei giorni della festa si ripopola. Chi è migrato in altre regioni italiane e persino oltre confine, torna sui suoi passi per rinnovare il trasporto dell’albero in paese. Perché tanta fatica? ‘Perché si è sempre fatto così a Spelonga, così ha fatto mio padre e così farà mio figlio, e se avrò dei nipoti anche loro saranno qui a trasportare l’albero a Spelonga’. Questa la risposta che ho ricevuto da uno dei 150 valorosi.

In quest’angolo dei monti della Laga puoi trovare le Marche più autentiche, non le più luccicanti e seducenti, perché le strade sono tortuose, il lavoro costa sudore e la polvere e il vino sporcano i vestiti, ma certamente troverai le più genuine. Gente temprata dal rapporto con la montagna, dal clima rigido e in ultimo dal terremoto che ha devastato queste vite e questi luoghi. Una storia di appartenenza, in cui ognuno fa la sua parte, perché se tutti non remassero nella stessa direzione, tutto questo non sarebbe possibile.

All Photographs © Vito Frugis