Battere e lavare

Tra tutti i riti popolari cui ho ho avuto la fortuna di assistitere in questi anni, la celebrazione della settimana santa a Nocera Terinese è certamente il più arduo da comprendere per chi lo osserva da fuori.

Il rituale si svolge ogni anno, il venerdì sera e  il sabato mattina che precedono la Pasqua, in contemporanea alla processione della Madonna Addolorata, corteo che segue un gruppo ligneo, raffigurante la pietà, lungo tutte le chiese di Nocera Terinese. All’uscita della statua, il Vattiente raggiunge un locale adibito alla vestizione (‘catuoio’) cui accedono i familiari e pochi intimi. Indossa una maglia nera, pantaloni neri, corti, per lasciare libere le cosce, avvolge il capo con un drappo nero detto “mannile”, su cui posa una corona di spine fatta di “sparacogna” (asparago selvatico). Dopo aver “arrosato”, come si suole dire in gergo, le cosce e i polpacci con le mani, a piedi nudi, parte per il suo giro, che lo porterà a battersi, flagellando a sangue le proprie gambe sul sagrato delle Chiese, vicino alle edicole dei Santi, sull’uscio di amici, parenti, ammalati o persone cui si vuol dare un saluto, marchiando questi luoghi col proprio sangue. Il Vattiente procede a passo svelto senza mai fermarsi per le strette viuzze di Nocera, ma nel suo percorso, può incrociare la Madonna una sola volta. Quando accade, si genuflette  davanti ad essa, fa il segno della croce, si percuote e versa il suo sangue ai piedi della Vergine e termina dando un bacio alla sacra effige, in segno di devozione, quindi riparte.

Lo scopo del rito è l’adempimento di un voto, per se stessi o per persone care, per ottenere una grazia o perché l’hanno già ottenuta. La flagellazione è un gesto di comunione con Cristo. Come Lui ha donato il suo sangue divino per salvare l’umanità, così il Vattiente offre il suo, come promessa per soddisfare il voto. “Tu hai fatto questo per me, io faccio questo per te”. Un rito impressionante e cruento, a tratti oscuro, se relazionato al contesto e alla simbologia in cui si inserisce.

Alcuni fanno risalire questa usanza alla penitenza monastica, altri ai alle Compagnie di Flagellanti presenti nell’Italia Meridionale a partire dal XIV secolo. Ma forse le radici di questo rito sono ben più antiche. Come sostiene il prof. Antonino Basile, “la cerimonia che si svolge a Nocera, risente della concezione medioevale e della partecipazione alle sofferenze di Cristo, ma le origini di essa non sono né cristiane né medioevali, ma rimandano ai riti propiziazione della fecondità della terra, per la morte di Attis, Adone e di altre divinità della vegetazione, destinata a rinascere e risorgere attraverso l’offerta del sangue da parte del sacerdote o del fedele”.

All Photographs © Vito Frugis